La sfida della transizione europea verso lo sviluppo sostenibile e i rapporti con Usa, Cina, India e Africa. Dal confronto ospitato dal Festival emergono progressi, ma anche difficoltà e contraddizioni da superare.
Garantire la coerenza tra la politica industriale, ambientale, climatica ed energetica per creare un mondo imprenditoriale meno impattante e, al contempo, capace di offrire nuovi posti di lavoro, anche grazie all’innovazione, è la sfida che l’Europa si è posta con il Green new deal. La Commissione Von der Leyen nel corso degli ultimi anni ha messo in piedi un programma ambizioso sul taglio delle emissioni e sul passaggio a un’economia circolare. Ma nel frattempo nuove incognite sono sorte nel panorama internazionale: guerra in Ucraina, pandemia, i rapporti con la Cina.
Questi alcuni degli argomenti oggetto del confronto tra Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, e Romano Prodi, già presidente del Consiglio dei ministri e della Commissione europea, durante l’evento “L’Europa e la sfida della transizione verso la sostenibilità” che si è tenuto l’11 maggio a Bologna presso il Mast auditorium, su iniziativa dell’ASviS e di , nel contesto del Festival dello Sviluppo Sostenibile e degli incontri “Le voci dei libri”. L’evento, moderato da Angela Mauro dell’Huffington post Italia, fa parte della Tappa di Bologna del Festival, che vede come Tutor Bcc Emilbanca, Fondazione del monte di Bologna e Ravenna e gruppo Hera. Vediamo una sintesi dei temi su cui i due hanno dialogato.
Futuro: che Europa aspettarci dopo le lezioni del 2024?
Prodi: Si diffonde l’idea di un grande cambiamento, di nuove prospettive e alleanze. Io sono un poco più prudente quando si dice che sarà la destra a dominare l’Europa, per me questo non è ancora chiaro, soprattutto se guardiamo a cosa sta avvenendo tra i partiti tedeschi. Non mi unisco, dunque, al coro dei pessimisti che dicono ci sarà una rottura. Dico: vediamo nei prossimi mesi come vanno le cose e quali saranno i comportamenti politici, sono questi che orienteranno le scelte degli elettori. È passato un po’ in sordina, poi, un fatto importante: nove ministri degli esteri hanno discusso tra loro di rompere le regole del voto all’unanimità per le politiche sulla difesa. Si tratta di una proposta che deve essere ancora discussa ma che, se divenisse realtà, cambierebbe il modo di prendere decisioni nell’Unione.
Giovannini: In tutto il mondo le destre sono molto più in difficoltà delle sinistre rispetto ai temi del cambiamento climatico e della transizione ecologica. Proprio i temi che saranno al centro delle elezioni europee e che sono già presenti nella campagna elettorale americana. Campagne che stanno orientando anche le persone a scegliere determinati prodotti sul mercato. Il problema è però ancor più profondo e ha molto a che fare con quello che Lord Stern, nel suo celebre rapporto sui costi dettati dall’inazione sulla crisi climatica, scrisse: ‘la crisi climatica è il più grande fallimento di mercato nella storia dell’umanità’. Ci sono poi dei fatti. Le imprese che sono andate nella direzione della sostenibilità dimostrano di avere migliori performance anche in termini di competitività. L’accordo fatto negli ultimi giorni in Europa sulla carbon tax alla frontiera va nella giusta direzione, certo i rischi della transizione sono reali ma il tema è: le forze progressiste in questo anno riusciranno a mettere in piedi proposte affinché la transizione non aumenti le disuguaglianze?
L’Unione europea rispetto agli Stati Uniti sta facendo poco per incentivare la transizione?
Prodi: L’Europa fa quello che può. Biden decide per tutti in un momento solo, l’Europa deve mediare. Il nostro problema è proprio quando dobbiamo effettuare una grande trasformazione, perché su questo ci vuole una politica unitaria. È vero negli Usa hanno messo molti soldi nella transizione, ma quando noi abbiamo ratificato il Protocollo di Kyoto Cina e Stati Uniti non l’hanno fatto. Se i grandi inquinatori non si allineano, non possiamo pagare questo peso solo noi. Se non c’è una conoscenza di futuro unitaria è difficile portare avanti la transizione, e il singolo agricoltore, o chi per lui, protesta. L’Europa ha il grande compito di essere guida ma al tempo stesso deve mantenere la coesione sociale che gli permette di esserlo. Ed è qui che le cose si fanno complicate.
Giovannini: Dall’anno prossimo anche le imprese di media dimensione, dopo quelle grandi, dovranno rendicontare il proprio impatto ambientale e sociale, anche lungo la filiera. Quindi, per esempio, non solo dovranno conteggiare le emissioni gas serra della propria fabbrica ma anche di chi fornisce i materiali. Con il governo Draghi abbiamo investito tanti fondi sull’infrastruttura ferroviaria anche per questo, per abbassare gli impatti ‘della filiera’. Un secondo tema: il Paese non ha ancora capito che nel nuovo codice degli appalti tutti i progetti dovranno rendicontare il proprio impatto ambientale. Sono effetti che ancora non vediamo ma che daranno profondi cambiamenti. Ma ci sono molti altri sui temi della sostenibilità che non sappiamo se andranno in porto, molto dipenderà da cosa succederà nei prossimi mesi ‘elettorali’.
Prodi: il problema grosso è che l’America fa la politica industriale, mette incentivi, ma non elabora una analisi sistemica della trasformazione, una rendicontazione. Noi siamo gli unici a farlo, e questo pone una serie di problemi. Sull’automobile, per esempio, con Enrico Giovannini abbiamo una opinione diversa, non negli obiettivi ma in base alle tappe, a come raggiungere i traguardi che ci siamo prefissati. Se costringiamo le persone a una sola scelta si rischia di aggiungere altra tensione sociale. Essendo l’Ue unica al mondo a fare queste scelte rischiamo, dunque, la reazione del tessuto sociale. Questa è la mia preoccupazione. Una sfida democratica molto seria.
L’impostazione della Commissione sui temi ambientali è troppo rigida?
Prodi: No, non dico questo. Dico che ogni problema deve essere discusso con un’ottica di conseguenze generali. Per ogni provvedimento io sono attento nel valutare se questo provoca una ‘infezione contraria’. Ma ripeto, è chiaro che gli obiettivi devono essere raggiunti, lo vediamo con gli effetti della crisi climatica. La nota positiva è che sull’ambiente Cina e Usa non si scontrano come sugli altri obiettivi, come quelli militari, ma bisogna tirare a bordo i cittadini.
Giovannini: Dobbiamo portare a bordo anche la popolazione indiana, che supererà presto quella cinese. L’India si pone il tema di una transizione accelerata, su cui noi occidentali abbiamo una responsabilità: gli abbiamo scaricato addosso tecnologie inquinanti che sapevamo di non poter più utilizzare. Tutto va poi inquadrato in una discussione geopolitica e ‘voler fare fuori la Cina’ non è assolutamente compatibile con il multilateralismo di cui abbiamo bisogno. Biden, da un certo punto di vista, ha copiato un pezzo di legislazione europea, mettendoci chiaramente più fondi. C’è un punto che però non è chiaro, e vale anche per l’Europa: il ruolo del settore pubblico nel prendere decisioni forti sui temi della sostenibilità.
Prodi: Prima non ho citato l’India perché è in una condizione di tensione interna, se non c’è un cambiamento mondiale guidato da Cina e Usa la vedo difficile possa orientare le proprie politiche alla sostenibilità. Una cosa forte va però sottolineata: viviamo una situazione in cui fondi, banche e imprese dettano le regole alla politica. Questo è un cambiamento colossale. La forza politica di alcune imprese è impressionante, pensate al potere di chiudere la rete del gas. Stiamo attenti alla democrazia, queste grandi società non hanno alcun limite e l’unica nostra battaglia che riusciamo a fargli è ‘un poco di fisco’. Parliamo di imprese che sono determinanti nel cambiamento globale.
Le democrazie sono in grado di gestire una realtà così complessa?
Prodi: No, chi pensava che Putin potesse chiudere i rubinetti del gas? I rapporti di forza oggi con questesono assolutamente fuori dalla logica del passato. Questa è la parte che mi rende ‘calcolatore’ rispetto al futuro.
Giovannini: Il cambiamento del capitalismo è profondo, proprio per i motivi che ricordava Prodi. L’Ue su questo gioca con una mano legata: vogliamo fare un salto, che secondo tutti i punti di vista sarebbe vantaggioso, ma senza cedere parte della sovranità per unire le forze in Europa. La conferenza sul futuro dell’Europa, purtroppo, non ha partorito nulla di fatto. Neanche la spinta a reagire alla pandemia, da cui è nato il Next generation Eu, ci ha portato a dire: ‘abbiamo capito la lezione e siamo pronti a unirci per decidere insieme’. Come diceva Bauman nel libro ‘Retrotopia’, accettare che siamo tutti sulla stessa barca della globalizzazione, non è semplice, perché molte persone vengono da un mondo diverso. Io credo che questa sia la sfida che abbiamo: un capitalismo che torna a essere guidato dalla politica. Condividiamo obiettivi ma non i passi da compiere per raggiungerli. Persino i nostri sistemi contabili sono asimmetrici. Eppure l’inquinamento atmosferico provoca la morte prematura di circa 50mila persone nel nostro Paese. Dobbiamo spiegare alle persone che esistono politiche che minimizziamo i rischi.
Prodi: Il Next generation Eu è stato un momento di solidarietà, ma resta ‘un momento’. L’Europa è come il nostro pane, solo che ancora ‘mezzo cotto e mezzo crudo’. Dobbiamo attuare un cambiamento che non dia ansia, se spaventi sale la tensione sociale. Il problema di interpretare il cambiamento, cercando unità nella salvezza dell’umanità, è un problema drammatico e che esige una Europa con un’unica volontà.
Giovannini: Ho lavorato con la Commissione europea per quattro anni intorno al tema della resilienza: una parola in sostanza vietata dalla precedente Commissione poiché non si poteva dire ai cittadini che il futuro sarebbe stato pieno di shock. Ma ormai l’abbiamo capito sulla nostra pelle. Le alternative ora sono due: ‘ci penso io non ti preoccupare’, o attuare soluzioni che ci aiutano proteggerci e che, al contempo, ci trasformano. Per questo motivo non sono d’accordo con Romano Prodi sui passi da compiere per il cambiamento, perché io credo ci sia la possibilità per un’azione forte e convincente. L’anno scorso grazie all’azione dell’ASviS abbiamo modificato la Costituzione introducendo un concetto importante, quello delle future generazioni. È su questo tema, sul futuro e sulla paura del futuro, che le forze progressiste dovrebbero dare il loro contributo. Abbiamo bisogno di politiche in grado di farci avanzare, non dobbiamo chiuderci per paura del futuro e degli altri. Io penso che tutto sia ancora possibile.
Rapporti con la Cina e bandiere ideologiche
Prodi: Trovo tanto fariseismo in questo. Gli americani hanno tensioni con la Cina su aspetti militari e tecnologici, ma poi fanno enormi affari commerciali. In Europa commerciamo ancora di più e per questo la contraddizione è ancora più forte. Quando si parla di interessi economici la politica di Biden non è poi tanto differente da quella di Trump. Vi racconto un aneddoto: nei due mesi, tra la sconfitta di Trump e la nomina di Biden, l’Ue ha firmato un trattato commerciale con la Cina. Non appena Biden è diventato presidente il trattato viene cancellato, non è stato più ratificato. Questo perché c’era una diversità nella somma degli interessi con la Cina. Ma anche internamente abbiamo una contraddizione, ogni Paese europeo va da solo in Cina per stringere accordi. La Cina conosce bene queste divergenze, e fa intendere che tratta con i singoli e non con l’Europa.
Giovannini: Non abbiamo pronunciato stasera nemmeno una volta la parola Africa. Luogo in cui tutti i problemi di cui abbiamo discusso si ripropongono. Credo che l’elemento ideologico sia molto forte e non permette di approfondire questi temi nel dibattito pubblico italiano. Ma nel frattempo le cose accadono. Negli ultimi anni gli investimenti diretti in Europa dalla Cina sono calati, ma ci sono segnali da analizzare. Pensiamo per esempio al fatto che la Cina vuole costruire grandi fabbriche di batterie in Europa. Su questo è evidentemente che la Cina negozia bilateralmente dove piazzare queste fabbriche. Una delle proposte dell’ASviS è quella di dotarsi in Italia di un Istituto di studi sul futuro capace di fare una analisi su opportunità e rischi. Invece noi siamo ancora schiavi del fatto che prima o poi ‘ce la caviamo’. Ma così il nostro futuro lo decidono sempre gli altri. Noi non abbiamo un dibattito su questo, e così tendiamo ad arrivare tardi, anche sul fronte della ricerca. La nostra poca voglia di futuro non ci aiuta certo a fare le scelte giuste.
Prodi: Chiudo ribadendo un concetto di Giovannini: bisogna tenere ben presente l’Africa, un continente che si ‘stanno prendendo’ i cinesi e, forse, con l’aiuto militare russo. E noi non capiamo, siamo fuori dal comprendere questi processi in atto. Ripeto: se come Europa non ci mettiamo insieme qui cambia tutto. Spero solo che questo allarme convinca almeno la Francia a cambiare la sua politica in Libia. Ma è difficile: gli ex imperi guidano guardando solo nello specchietto retrovisore.
di Ivan Manzo