Deglobalizzazione, interessi nazionali preminenti, scarsi aiuti allo sviluppo, tra i temi all’evento del Festival sul Goal 17. “L’Europa troverà uno spazio solo se resterà unita”. Fratin, Simson, Tajani e Timmermans tra gli ospiti.
Continuare a investire nelle istituzioni multilaterali è necessario per affrontare le sfide attuali e future e, nonostante le crisi rappresentate da pandemie, guerre e clima, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite continua a rappresentare un baluardo del cambio di paradigma verso lo sviluppo sostenibile. Le prospettive di un impegno multilaterale più forte da parte degli Stati restano flebili, ma l’Italia e l’Europa possono e devono essere maggiormente protagoniste.
È questo il messaggio emerso dall’evento “Crisi geopolitiche, multilateralismo, aiuto allo sviluppo: quali scenari futuri?”, tenutosi lunedì 15 maggio presso Palazzo Reale a Milano nella giornata di apertura della terza tappa del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023. Organizzato dal Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 17 “Partnership per gli Obiettivi”, in collaborazione con il progetto “Generazione Cooperazione” finanziato dall’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo (Aics), l’evento è stato patrocinato dal Comune di Milano e ha visto come tutor della tappa milanese Confimprese e Fondazione Cariplo. Moderatrice Giuseppina Paterniti, direttrice direzione editoriale per l’offerta informativa Rai.
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A introdurre i lavori è stato Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, che ha tratteggiato i principali fenomeni in corso nel quadro geopolitico attuale, alla luce dei quali “sembra che si sia esaurita la spinta al multilateralismo di cui l’Agenda 2030 ha rappresentato uno dei punti più alti sull’aiuto allo sviluppo”. Ha inoltre definito “inaccettabile” il mancato rispetto, da parte dei Paesi che hanno sottoscritto l’Agenda Onu, della regola di destinare lo 0,7% di Pil all’Aiuto pubblico allo sviluppo. Infine, Giovannini ha auspicato che l’Italia possa arrivare con una posizione comune e condivisa e con la nuova Strategia di sviluppo sostenibile approvata all’SDGs Summit di settembre, il vertice internazionale convocato dal Segretario generale dell’Onu Guterres per verificare lo stato dell’arte sull’Agenda 2030, tanto più considerando che nel 2024 spetterà al nostro Paese anche la presidenza del G7.
E proprio sull’impegno dell’Italia rispetto a questi appuntamenti è intervenuto il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che ha dichiarato di aver convocato il Comitato interministeriale per la transizione ecologica e ribadito l’impegno del governo nella direzione di investimenti sempre maggiori sulle rinnovabili fino ad ottenere entro il 2030 i due terzi dell’energia da fonti non fossili. In tal senso si colloca anche la revisione dei Sussidi ambientalmente dannosi e l’incremento di quelli ambientalmente favorevoli, dal momento che – ha affermato il ministro – “il passaggio ambientale, climatico, non lo si può risolvere senza prima risolvere la questione energetica”.
A seguire, nell’ambito del panel riguardante il ruolo delle istituzioni internazionali ed europee, il presidente dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, Giampiero Massolo, ha spiegato come in un contesto geopolitico fortemente frammentato e pieno di minacce, “il multilateralismo oggi non è percepito dai governi necessariamente come lo strumento di elezione per risolvere i conflitti e gestire le crisi”. Per Massolo infatti gli interessi particolari dei singoli Paesi prevalgono su quelli multilaterali, sebbene le enormi sfide attuali, come quella dell'intelligenza artificiale o della transizione energetica, abbiano reso evidente quanto la sovranità degli Stati si sia erosa negli anni. “L’auspicio è che si rivaluti una sorta di multilateralismo dal basso, dove l’azione dei governi sia rafforzata da diverse entità statuali e non, e che la comunanza e la gravità dei problemi possano portare a un’azione comune”.
Sempre in merito al tema del multilateralismo, Marina Ponti, direttrice della Un SDG action campaign, ci ha tenuto a sottolineare come, anche se dal 2015 il mondo è cambiato parecchio, l’Agenda 2030 è ancora assolutamente valida perché poggia su tre principi “rivoluzionari”: l’universalità, l’interdipendenza, ma anche l’audacia, che vuol dire riconoscere l’urgenza di mettere mano ai sistemi che regolano le società. “Siamo a metà del viaggio, a settembre ci sarà questo vertice complesso [SDGs Summit, ndr] che dovrebbe riconfermare l’impegno e la volontà di accelerare. […] Gli impegni contenuti nella bozza di accordo, se riconfermati, danno un segnale di speranza”.
È toccato a Donato Bendicenti, corrispondente Rai da Bruxelles, delineare invece la situazione europea: “Mi pare che l’Ue sia di fronte a una combinazione di crisi senza precedenti” ha detto riferendosi a pandemia, guerra in Ucraina e conseguente crisi energetica. “Tutto questo” – ha continuato – “unito alla debolezza ontologica dell’Ue dal punto di vista di capacità decisionale, ha comportato che l’Unione rallentasse”. E se sul piano politico le sanzioni contro la Russia hanno rappresentato una risposta forte, l’impatto sulle economie europee è stato altrettanto duro. Infine un accenno al rapporto con la Cina che “è particolarmente complesso perché da una parte non si può fare a meno della Cina, ma non si può non riconoscere che è stata ed è molto vicina alla Russia di Putin” e che se non diminuiscono le importazioni dal Paese asiatico, non ci sarà mai un'indipendenza e un equilibrio per il Vecchio continente. “Se l’Europa riuscirà a ritrovare uno spazio, dipenderà dalla sua capacità di restare unita”.
Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea, commentando le ripercussioni che la guerra in Ucraina ha generato sul piano energetico in Europa, ha ricordato che in un solo anno c’è stato un aumento del 40% del fotovoltaico. “La politica ambientale dovrebbe essere sia di destra sia di sinistra. Se ne facciamo una guerra culturale, perdiamo tutti.” E, sempre sul clima, ha rivendicato il ruolo cruciale che l’Ue gioca nei consessi multilaterali come dimostrato dalla Cop in Egitto, e i risultati apparentemente impossibili che le politiche europee sono riuscite a ottenere finora, come nel caso delle auto elettriche. “Ma se la crisi climatica nelle nostre società è ormai riconosciuta, sulla biodiversità e la perdita delle specie a livello politico manca ancora questa consapevolezza”. Infine, sulla relazione con l’Africa, Timmermans ha riconosciuto che “c’è una opportunità enorme per l’Europa di fare parte dello sviluppo dell’Africa, ma ciò richiede da parte dell’Unione la volontà di condividere i progressi tecnologici, la transizione verso le rinnovabili”, di investire affinché i circa 600 milioni di africani che oggi non hanno l’accesso all’elettricità possano averla. “Il nostro futuro è profondamente legato a quello dell’Africa e questa consapevolezza deve essere alla base delle politiche europee”.
in foto da sinistra: Enrico Giovannini, Giuseppina Parterniti, Marina Ponti. In collegamento Frans Timmermans.
Sul ruolo delle alleanze e degli Stati Uniti nello scacchiere internazionale, è intervenuto Claudio Pagliara, corrispondente Rai da New York: “la guerra in Ucraina ha messo in luce tutti i limiti dell’architettura delle istituzioni internazionali come l’Onu” a causa del diritto di veto della Russia che ha paralizzato il Consiglio di sicurezza. Ma allo stesso tempo – ha continuato Pagliara – “proprio la guerra ha riportato in auge l'importanza delle alleanze basata su principi comuni come la Nato”, che si è addirittura ampliata e rafforzata. E anche il tentativo di Putin di dividere l’Europa da un punto di vista energetico ha fallito. Inoltre, “la pandemia ha accelerato un fenomeno chiamato ‘deglobalizzazione’”, ovvero la tendenza a riportare le principali catene di approvvigionamento su cui si basa la sicurezza degli Stati, nei Paesi accomunati dagli stessi principi e dagli stessi valori democratici. “Dunque un ripensamento del modello di sviluppo”. Anche gli Usa stanno mettendo in atto questa strategia. “La crisi del multilateralismo e la crisi della globalizzazione sono andate di pari passo”.
Marco Clementi, corrispondente Rai da Pechino, ha offerto uno spaccato sulla Cina, che “vuole giocare un ruolo globale” e “diventare un nuovo polo soprattutto per i Paesi emergenti”. “Derisking e decoupling” sono le strategie adottate rispettivamente da Ue e Usa nei confronti della superpotenza: derisking significa cercare di limitare i rischi della dipendenza economica dell’Europa dalla Cina, mentre per decoupling si intende il “disaccoppiamento” economico. Ma è “un divorzio impossibile quello tra Cina e Usa” i cui interscambi commerciali hanno toccato nel 2022 un record assoluto. E di fatto gli Usa avallano anche la mediazione cinese nel conflitto ucraino.
Kadri Simson, commissaria europea per l’Energia, ha tratteggiato la strategia europea: “Con il Green Deal siamo stati il primo continente a impegnarsi sulla neutralità climatica entro il 2050. Un’energia più pulita rende il nostro sistema anche più sicuro”. La commissaria ha definito “inedita” la trasformazione del sistema energetico europeo a seguito della guerra in Ucraina. “Dobbiamo passare da una situazione di emergenza al mettere in campo risposte di medio termine”, fino ad ottenere al 45% di energie da fonti rinnovabili. Ma l’impegno dell’Ue per la decarbonizzazione e il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, si concretizza anche nelle importanti risorse finanziarie mobilitate nella cooperazione con i partner.
Ad aprire il panel su cooperazione e Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) è stata Ivana Borsotto, portavoce della Campagna 070 e presidente Focsiv, la quale ha sottolineato che “la cooperazione è parte integrante e significante della politica estera, quindi la caratterizza, gli dà significato. […] Con la cooperazione la politica estera arriva nei villaggi più sperduti, diventando strumento di connessione con le periferie, con le comunità”. E proprio per questo motivo – ha chiosato - “noi chiediamo alle istituzioni un provvedimento graduale ma vincolante per arrivare entro il 2030 all’impegno di destinare lo 0,70 del Pil alla cooperazione allo sviluppo”.
A seguire è intervenuto Emilio Ciarlo, responsabile per le relazioni esterne e per la comunicazione dell’Aics, puntando l’accento sul cambio di paradigma generale rispetto all’Agenda 2030, la cui validità “oggi è contestata da molti Paesi che non accettano le condizionalità, come ad esempio quella del rispetto dei diritti umani, per l’allocazione dei fondi”. Quindi “attualmente non mi pare che ci siano le condizioni per far sì che questo impegno sia rispettato e rinnovato”. Per Ciarlo l’interesse nazionale [ndr. degli Stati] oggi è tornato ad avere più valore rispetto a quello globale. “Quello a cui si deve guardare non è tanto l’ammontare delle risorse che un Paese destina all’Aps, ma l’azione internazionale complessiva” ovvero alla coerenza delle politiche. Per l’Italia, ha ricordato, due le aree geografiche prioritarie: l’Africa con il Piano Mattei e i Balcani, sempre più importanti politicamente.
Anche Marco Zupi, direttore scientifico CeSPI, ha parlato di cooperazione: “Il quadro geopolitico evidenzia come ci sia necessità di cooperazione ma anche il rischio che inseguendo le emergenze, la politica di cooperazione possa perdere di vista lo sviluppo di lungo periodo”. C’è una combinazione di sfide: aumentare le risorse ma anche l’efficacia. L’Italia dovrebbe più che raddoppiare per raggiungere gli impegni presi, ma è un problema internazionale. “L’obiettivo dello 0,70% doveva essere una spinta perché gli Usa aumentassero l’impegno”. Mancano all’appello molte risorse che, specialmente nel 2022, sono state assorbite da diverse emergenze, non ultima la guerra in Ucraina. Ma la cooperazione risente di un problema strutturale, ovvero la frammentazione: c’è una pluralità attori che fanno microinterventi e il paradosso è che l’Aics non è tra i principali attori in termini di risorse.
Una voce dal “Sud” è stata quella Florence Syevuo, direttrice esecutiva di SDGs Kenya Forum e Gcap Africa, che ha posto l’accento sulla necessità che Ue e Italia rafforzino la cooperazione con il continente africano, “non per paura dei flussi migratori o per competere con Cina e Stati Uniti nell’accaparrarsi le nostre risorse, ma per stabilire partenariati capaci di far crescere concretamente i diritti umani e la democrazia tra i nostri popoli, combattere la povertà, la fame e le disuguaglianze e contribuire alla giustizia climatica” .
Prima di concludere, Enrico Giovannini ha letto un passaggio del messaggio che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani, impossibilitato a partecipare, ha inviato all’evento: “A pochi anni dalla scadenza dell’Agenda 2030, solo agendo insieme, attraverso una rafforzata cooperazione internazionale, potremo tornare sui binari che ci siamo prefissi. L’Italia, con l’Unione europea, è pronta a fare la sua parte. Concentreremo la Presidenza italiana del G7, nel 2024, sul rapporto con Paesi del vicinato sud e le economie emergenti, anche in connessione con il G20. Il Governo guarda con assoluta priorità alle trasformazioni strutturali che occorrono per rilanciare crescita e sostenibilità in Africa. […] L’Italia vuole essere sempre più un ponte tra Nord e Sud del Mondo. Il Festival dello Sviluppo Sostenibile si inserisce in questo articolato itinerario, prioritario per l’azione di Governo”.
Il direttore scientifico dell’ASviS, traendo le conclusioni dell’evento, ha evidenziato quattro punti principali: è in corso “una terza guerra mondiale a pezzi” e l’Italia può essere protagonista nell’alleviare gli effetti che questi scontri generano sui più deboli; l'Ue, nonostante tutti i limiti, si sta impegnando davvero per portare avanti lo sviluppo sostenibile in un quadro di pace, ma non è al riparo da derive pericolose; le organizzazioni internazionali in questo momento storico risentono particolarmente dei diversi punti di vista degli Stati in conflitto tra loro, ma il dialogo continua e il Summit Onu di settembre e quello sul futuro del 2024 ci diranno se ci sarà una spinta per equilibri diversi rispetto al passato; infine, la consapevolezza che “non bastano i governi” e che “una responsabilità molto forte [per cambiare le cose, ndr] ricade sulla società civile, sui cittadini”.
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di Elita Viola