L’evento ASviS nel Festival si è interrogato su come costruire valori da condividere attraverso le età, a partire da un approccio interdisciplinare e dalla riforma della Carta che ha introdotto la giustizia intergenerazionale.
La sostenibilità è l’etica della giustizia intergenerazionale, dove nessuno deve rimanere indietro, soprattutto chi vivrà il mondo nel futuro. Ma per realizzare questo nuovo legame sociale è necessario costruire valori, che ancora non sono condivisi da tutta la società. Questo è il messaggio emerso all’evento “Etica al futuro: generazioni, solidarietà, giustizia” che si è tenuto il 18 maggio presso il Salone del libro di Torino, nell’ambito della quarta tappa del Festival dello Sviluppo Sostenibile. L’iniziativa, organizzata dall’ASviS con il supporto dei tutor della tappa Fondazione Compagnia di San Paolo e Iren e con il patrocinio della Città di Torino, è stata divisa in due parti: il primo panel è stato intitolato “Inclusione, giustizia e sostenibilità”, mentre il secondo panel “Sostenibilità come solidarietà intergenerazionale”.
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Filippo Salone, coordinatore del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 16 “Pace, giustizia e istituzioni solide”, ha preso la parola come primo relatore del convegno, nel panel “Inclusione, giustizia e sostenibilità”, ricordando che l’Agenda 2030 si basa sul rispetto dei diritti umani. “Già nel suo preambolo vediamo scritto che la dignità umana e la giustizia devono essere universalmente rispettate, per non lasciare indietro nessuno”. Ha proseguito parlando delle attività del Gruppo di lavoro che coordina: “Abbiamo definito alcuni indicatori per misurare annualmente alcuni principi fissati dall’Obiettivo 16, tra cui il monitoraggio delle condizioni di vita delle persone detenute”. Questi concetti sono stati ripresi anche in conclusione del suo intervento in cui ha raccontato il lavoro fatto dall’ASviS sull’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. “Il pontefice ci dice che la giustizia rispetta non solo i diritti individuali, ma anche i diritti sociali. Ogni generazione deve fare le proprie lotte, e il bene, come la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per tutte, ma vanno conquistati ogni giorno”.
L’evento è proseguito con l’esposizione di Lia Zola, professoressa di Antropologia all’Università di Torino, che ha parlato, partendo dalla sua professione, di come si comporta l’essere umano quando si mette in gioco per realizzare azioni sostenibili che riguardano l’ambiente. “Il quadro di riferimento all’interno del quale mi muovo è quello delle collaborazioni interspecifiche, ovvero che rivolge lo sguardo anche a specie che non sono umane. Un modo interessante per parlare di sostenibilità ambientale è andare a vedere dove avvengono queste collaborazioni tra specie diverse. Per esempio, io lavoro con gli apicoltori, che per un’antropologa significa avere uno sguardo privilegiato sull’ambiente che sta cambiando ma anche su una serie di strategie, saperi e pratiche che queste persone usano per affrontare la crisi climatica che stiamo vivendo”, ha affermato Zola, riportando anche dei casi concreti di pratiche sostenibile.
Sebastiano Maffettone, professore di Filosofia politica all’Università Luiss di Roma, è invece intervenuto nella discussione proponendo quattro definizioni legate alla relazione tra l’etica e la sostenibilità. “Il primo punto è la sostenibilità e l’etica dal punto di vista della storia del concetto, per capire quali rapporti ci sono tra di loro, che è connesso con il secondo tema, ovvero la relazione tra etica ed economia”. Maffettone propone di realizzare una “teoria del valore di comunità organica” che integri oggettivismo e soggettivismo, per riuscire a mettere insieme le decisioni giuste con le scelte e i desideri individuali. “Così arriviamo al terzo punto, quello più curioso, ovvero cosa c’è in comune tra etica e sostenibilità. Secondo me è l’idea di limite da rispettare, che deve esserci per forza”. L’ultima questione è stata: “perché nonostante siamo tutte e tutti d’accordo non riusciamo a realizzare la sostenibilità? Perché non si è creata quella che Marx e Gramsci chiamavano coscienza di classe, un apparato costitutivo in grado di fare qualcosa”.
in foto da sinistra: Mariella Nocenzi, Alberto Pirni, Laura Nota, Filippo Salone
Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, ha aperto il secondo panel dell’evento intervenendo da remoto. “Lo sviluppo sostenibile è proprio quello sviluppo che consente alla generazione attuale di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare il fatto che le generazioni future possano fare altrettanto. Ma dall’altra parte cito spesso la battuta di Groucho Marx, ‘Perché devo fare qualcosa per le prossime generazioni, loro non hanno fatto niente per me’. Queste parole toccano in profondità il nostro Paese, o almeno lo toccavano fino all’anno scorso quando, grazie anche all’ASviS, è stata modificata la Costituzione italiana nei suoi principi, nella parte più legata alla dimensione etica, è stato inserito il concetto di giustizia intergenerazionale. Questo cambiamento ha un valore etico perché va al di là delle scelte di questo o di quel governo pro tempo. È un cambiamento che dovrebbe essere patrimonio comune di tutti, non solo di tutte le forze politiche ma anche di tutte le italiane e di tutti gli italiani”.
In seguito ha parlato Mariella Nocenzi, professoressa di Sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma, la quale ha fatto un collegamento tra sostenibilità e creazione di valore, a partire dai bisogni di ogni generazione e dalle risorse che devono essere tramandate per assicurare una giustizia tra generazioni. Nocenzi ha utilizzato un approccio intersezionale, che “può rendere operativa la sostenibilità, perché consente a ogni individuo, o gruppo sociale, di valorizzare tutte quelle caratteristiche che, oltre all’età, gli permettono di definire in quale posizione si trova rispetto all’accesso alle risorse, così può intervenire in maniera più efficace per favorire l’accesso a queste. Non è un caso che il Pnrr abbia un approccio intersezionale”.
Laura Nota, professoressa di Psicologia all’Università di Padova, ha parlato del rapporto che ci sta tra la sostenibilità e il futuro delle giovani generazioni, interrogandosi: “pensano al futuro in modo sostenibile? I dati scientifici ci dicono di no. La vita delle giovani generazioni è complessa. È già stata caratterizzata da forti disuguaglianze, dalla pandemia di Covid-19, dal cambiamento climatico, dalla guerra, dalla disinformazione. Questa condizione si associa al sentirsi esausti, impotenti, indifferenti e cinici, ad avere paura di guardare oltre la punta dei propri piedi e a sviluppare una visione conservativa della realtà. Pensando al futuro, abbiamo tanto bisogno di strutture come la sostenibilità, ma magicamente queste non entrano nella testa delle giovani generazioni. Abbiamo bisogno di investire in educazione e potenziare la capacità di un pensiero critico e complesso”.
Infine, Alberto Pirni, professore di Filosofia morale all’Università Sant’Anna di Pisa, ha evocato il tema del dovere dello Stato di includere il cittadino al suo interno. “La tradizione della democrazia porta l’inclusione da dovere di buona creanza a diritto sociale, a qualcosa che è dovuto e promesso dallo Stato medesimo. Questa promessa è entrata un anno fa nel diritto pubblico, con la riforma dell’articolo 9 della Costituzione. Per il filosofo morale, un diritto costituzionalmente sancito vuol dire che è un diritto intertemporale, che non riguarda solo il qui e ora, ma anche questo tempo e il tempo futuro”.
Alla fine dell’incontro c’è stato spazio anche per un intervento dal pubblico. Sul palco è salita Francesca, classe 1997, che ha preso il microfono per dire: “molte persone della mia generazione sono arrabbiate con le generazioni precedenti, perché ci dicono di risolvere un problema, il cambiamento climatico, che non abbiamo causato noi. Io sono cresciuta in una famiglia dove da sempre mi hanno insegnato a essere rispettosa dell’ambiente, e penso quindi che solo la cultura potrà sensibilizzare le e i più giovani. Per me è stato così”.
Di Milos Skakal